Il signor Z. ha sempre condotto una vita mediocre: responsabile di azienda, ferreo e severo, ma profondamente maligno, si è sempre distinto per la sua perfidia e mancanza di cuore. Un uomo terribile, senza anima. Vedovo e solo, si ritrova in pensione, e scopre all’improvviso che la sua esistenza è stata inutile, votata solo al male più assoluto. Cerca di comprendere e di comprendersi il signor Z. Un sessantenne che cerca la ragione delle sue frustrazioni sapendo che forse gli rimane poco da vivere: ha un tumore al cervello. Non lo accetta. La sofferenza lo sconvolge. Non è più in sé e gli impulsi repressi prendono il sopravvento. Quando lo scopre le sue parole sono deliranti. E' l'uomo moderno.
Un giorno risponde ad un inserzione per pochi eletti e lentamente entra nei meandri delle pulsioni e degli impulsi più nascosti e segreti. Sarà un lungo viaggio verso una libera e umiliante accettazione di se stesso. Diventerà “schiavo” personale della “Padrona” più severa, Diantha.
"Una collana di perle e degli orecchini splendidamente pendenti, che sfioravano la sua ormai dolce maschera, si rispecchiavano alla luce della luna. Non mi era ancora permesso vedere il suo viso per intero, che sicuramente sarebbe stato bellissimo e sensuale, ma non potevo ancora, non so come e quando avrei potuto farlo, forse mai. Il mio compito non era quello di scoprire il suo volto, ero lì per le sue essenze, i suoi dolci odori che avrei dovuto captare ogniqualvolta lei lo avesse chiesto. Ero riuscito ampiamente a dimostrare di essere in grado di eseguire questo difficile compito. La Padrona lo sapeva, una cosa era quella di avere dinanzi a sé un pervertito pronto a tutto pur di annusare, l’altra è avere ai suoi piedi un uomo che interpretasse gli odori, i suoi umori più segreti ed intimi. Mi frustava sempre meno, da tempo. Si era affezionata a me, ma non lo dimostrava, doveva per forza del suo ruolo mantenere una sua autorità. Il vestito appariva comunque attillato sino alla vita, giungeva quasi al ginocchio o un po’ più su.
Le scarpe da sera erano nere decolté con brillantini d’argento, tacco doppio e alto. Le collant avevano un colore morbido tendente allo scuro, quasi viola e coprenti. Indossava un reggiseno incrociato dietro e un coprispalle blu scuro. Quando entrai nel suo bagno rimasi colpito dalle varietà di calze che erano appese in un armadio, tutte catalogate, in modo maniacale e perfetto:
Calze nere che non arrivano oltre le ginocchia, di ogni tipo, poi calze cucite a macchina e rinforzate sulla punta per coprire le dita dei piedi. Sono quelle che ho sempre preferito, ma non ho mai avuto la fortuna di vederle indossare. Le calze più belle, quelle con l’area punto che sopporta il tallone e che viene rinforzato con un tessuto ripiegato su se stesso. Erano molto usate durante gli anni cinquanta, emanano una profonda essenza corporea, ma delicata. Le preferisco ancora oggi, non mi era mai capitato di sottomettermi a donne che le indossassero, poi autoreggenti e collant dai diversi colori, intanto la mia padrona era ancora dinanzi allo specchio. Mi chiese di mettermi dietro di lei. Si alzò lentamente il vestito e notai per la prima volta i suoi slip, erano di colore nero. I suoi collant erano spettacolari, profumati e aderenti, le sue gambe rappresentavano la vera essenza della terribile e giusta matrona. Una donna abituata a comandare. Era lei, dinanzi a me, il suo sedere davanti agli occhi. Rimase così per un po’ di tempo, immobile con i suoi glutei vibranti. Come sempre mi faceva attendere, poi mi ordinò di sdraiarmi a terra, sul freddo pavimento. Provai una sensazione glaciale.
Mi misi a terra steso, senza parlare, altrimenti mi avrebbe punito. Lei davanti allo specchio dal basso appariva come una dolce montagna. Il suo sedere era prosperoso, carico di forza e di femminilità che aveva bisogno solo di essere gustato e levigato con la lingua. Non sapevo però cosa volesse, a cosa aspirasse. Senza dire nulla si avvicinò al mio viso, il suo sedere era sempre più vicino, raggiunse il mio naso in un attimo e fu silenzio. Un odore bellissimo invase le mie narici, le sue natiche sembravano cantare dolci essenze. Una linea nera doppia di nylon divideva quel prosperoso dono universale. Rimase per qualche minuto su di me senza dire nulla, continuando a ondeggiare muovendo le sue dolci forme artistiche, e io godevo, terribile la mia voracità, perversa la mia voglia di percepire le essenze, ero una bestia, ero un uomo."
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