«Ma non senti anche tu che il mondo è un mazzo di carte che più viene mescolato più resta quello, inamovibile?» - Forse è proprio per sbriciolare questa sorta di stasi cosmica che Martino Dossi, protagonista del nuovo libro di Alberto Cellotto "Abbiamo fatto una gran perdita" (pp. 112, Oèdipus edizioni, euro 12,50), decide di partire per un viaggio originariamente di tre settimane che si rivelerà più lungo di quanto pensasse. Martino parte da solo, accompagnato unicamente dalla sua automobile e un inatteso desiderio di scrivere lettere che non spedirà mai e che verranno pubblicate, in tempi non sospetti, da sua moglie Ester, la quale le riunisce con tanto di nota al testo conclusiva.
Una moglie appunto, tre figli, una bici a cui è così legato da chiederne notizie («Al telefono mi sono sempre dimenticato di chiederti come sta la mia bici» scrive a Ester nell'unica lettera a lei indirizzata) e un licenziamento improvviso: proprio in seguito a questo nuovo status di disoccupato Martino decide di «cambiare aria», lasciando la sua Treviso per una (auto)strada incastonata nei cosiddetti "luoghi dell'anima", dalle province del Veneto a quelle toscane, passando per il Lazio, il Molise, sino a Catania (se pur solo per un giorno). Nello scrigno intimo delle camere d'hotel in cui non soggiorna -quasi- mai per più di una notte affida alla propria penna pensieri e considerazioni grazie alle quali, sotto forma di lettera, racconta e si racconta a destinatari diversissimi tra loro: amici, amici stretti, ex amori, vicini di casa e conoscenti più o meno sconosciuti (come una ex collega di lavoro o la presentatrice di una TV locale di una delle sue tappe). Così, attraverso queste missive che muovono da vicende di viaggio più o meno concrete, il lettore si addentra nei vicoli più reconditi del sentire di Martino tra confessioni e riflessioni ancestrali che indagano, in un'atmosfera rarefatta e sagace, il confronto sincero di chi decide di guardarsi senza maschere.
"Abbiamo fatto una gran perdita" si configura quindi come un romanzo epistolare sui generis, una raccolta di lettere in cui l'assenza di una trama tout court diventa trama di per sé, ovvero quella di un viaggio solitario che offre, con pennellate intime e delicate, uno scorcio privilegiato delle corde psicologiche del protagonista di cui è facile condividere emozioni e titubanze.
L'identità di Martino sembra allora scolpirsi man mano che l'incontro con l'altro procede tra le pagine, in un dialogo in absentia che rimarca come egli in realtà non sia solo ma in costante relazione con un mosaico di destinatari muti che, di volta in volta, schiude e orienta la sua memoria. Fin dalla prima pagina si affaccia infatti la sensazione che, più o meno inconsciamente, ogni lettera sia un escamotage rassicurante grazie al quale scavare nella propria esistenza e mettere in discussione sfumature del quotidiano a cui si è ormai assuefatti («[...] l’assalto di stronzate ci ha invaso ogni angolo dei giorni ed è soffocante»).
Con un incedere incalzante di pensieri, ragionamenti, passi indietro e affondi coraggiosi Martino incontra fugacemente se stesso, anche grazie a quella che egli definisce «la valvola difettosa dei ricordi». Il valore aggiunto è la semplicità quasi disincantata con cui Martino si perde nel crocevia del proprio animo, chiave di volta che avvicina il lettore al mondo interiore del protagonista: nessuna pretesa d'assoluzione, nessuna vocazione per epifanie forzate. Complice una scrittura genuinamente nitida e semanticamente densa -nella quale sovente si intravede la felice cittadinanza poetica dell'autore-, chi legge si sorprende empaticamente coinvolto in una maniera che non contempla esclusivamente la strada dell'immedesimazione. È questa probabilmente una delle forze più vibranti della prosa arguta e talvolta limpidamente labirintica, la capacità di tratteggiare i nodi dell'esistenza fronteggiati da Martino (la famiglia, le relazioni, la routine che tutto sembra fagocitare) come paradigmi di quegli aspetti controversi della vita con cui ognuno di noi, almeno una volta, ha dovuto fare i conti.
«Molte lettere sono come case senza il tetto» scrive Martino Dossi a Laura, ex collega di lavoro e, dopo aver letto "Abbiamo fatto una gran perdita", viene da chiedersi se in quel «molte» egli avrebbe incluso anche le proprie. |